E alla fine il Milan rallentò. In una serata di quelle in cui niente sembra andare per il verso giusto i rossoneri giocano, sciupano, colpiscono quattro volte i legni ducali, vanno sotto 0-2, accorciano, soffrono, sembrano mollare e, quando ormai quasi più nessuno ci credeva, pareggiano. Con una doppietta di Theo Hernandez, di professione terzino sinistro. Non è una questione di pressioni più o meno psicologiche dovute al primato solitario attuale: molto più semplicemente una serie di sfighe impossibili da combattere, nulla di che. Però, in questo modo, i ragazzi terribili di Stefano Pioli cominciano a sentire il fiato delle inseguitrici. Tutto mentre Liverani e il suo Parma chiederanno di giocare al Meazza il resto del torneo. Bene i gialloblù, con Gervinho per lunghi tratti protagonista, con l’atteggiamento corretto di chi non vuole perdere, ma nemmeno rinuncia a giocarsela. Due trasferte a Milano, due pareggi, sempre 2-2, entrambe le volte rimontati dal doppio vantaggio: questo, casomai, è da rivedere, ma per il resto ottima prestazione dell’undici parmense.

Approfittano un po’ tutti del regalo inaspettato. In primo luogo l’Inter, vittoriosa a Cagliari, ma con quanta fatica. I nerazzurri sprecano perlomeno cinque palle gol di cui un paio clamorose, Cragno para tutto quel che arriva in porta, superandosi in almeno due circostanze. Gli astri sembrano volgere al vantaggio interista quando Sottil si trasforma, per un secondo ma tanto basta, nel novello Van Basten: al volo, in diagonale, con Handanovic a guardare il pallone e leggermente fuori posizione. Potrebbe essere l’inizio dello sfaldamento, oggettivamente l’Inter è sotto in maniera del tutto immeritata. Al contrario Antonio Conte cambia senza aspettare gli ultimi minuti, la squadra balbetta per poco più di metà ripresa. Poi accorgimento tattico: si passa a quattro dietro, e i nerazzurri, in 19 minuti, dilagano. Copione già visto con Fiorentina e, in parte, col Toro. Adesso diventa importante la sfida diretta col Napoli di dopodomani: i partenopei, ricordiamolo, hanno il secondo attacco del campionato, proprio dietro i nerazzurri, giusto per far tacitare i detrattori, mah, di Gennaro Gattuso. Il Napoli è squadra imprevedibile, capace di mutare atteggiamento in corso d’opera, abile a comprendere le difficoltà altrui e colpire dove più fa male. Gli azzurri, già nella semifinale di coppa nazionale della stagione passata, avevano imbrigliato la banda Conte, vedremo se il tecnico leccese continuerà sulla falsariga del solito 3-5-2 o cambierà qualcosa per mettere in difficoltà Gattuso.

Bene anche la Juventus, più per il risultato finale che non per una vera e propria idea di gioco. Che, dal nostro punto di vista, continua a essere poco pungente, non propositivo: a volte sembra quasi palla a Cuadrado, devastante in questo inizio stagione, fuga sulla fascia e cross in mezzo dove ci sono Morata insieme a Cristiano Ronaldo, qualcosa vien sempre fuori. O, all’occorrenza, percussione del colombiano e fallo dal limite o calcio di rigore. Insomma, la bella Juventus di Barcellona fatica ancora in campionato e il test con l’Atalanta potrebbe raccontarci qualcosa di più sia sui bianconeri che sulla truppa Gasperini, alle prese col problema Papu Gomez. Vero, gli orobici asfaltano una Fiorentina in caduta libera – voci da Firenze parlano di qualche scricchiolio sulla panchina di Prandelli- i viola non è che sciorinino un calcio spettacolare, anzi, ma le tensioni interne alla Dea non appaiono del tutto rientrate. In questo dovrà essere brava la Società, nel mediare una situazione complicata, nella quale la prima a rimetterci potrebbe essere la Società stessa.

Cade la Lazio, malamente, contro il solito Verona di Juric, sempre più pronto per il grande salto. Vince, anzi stravince, l’altra romana. Fonseca maramaldeggia in quel di Bologna dove i felsinei non entrano nemmeno in campo, troppo brutti per essere veri. Molto male il Toro, ormai in pena bagarre salvezza, e lo Spezia, alla prima vera imbarcata di questo campionato: un quattro a uno che rilancia il Crotone sempre in fondo alla classifica ma ormai prossimo all’aggancio di chi lo precede. E bene, si fa per dire, il Sassuolo. Che vince, vero, su rigore, ma subisce l’arrembaggio del Benevento: trenta tiri verso la porta neroverde, in pratica per tutta la partita. Pippo Inzaghi non può rimproverare nulla ai suoi, raramente una tale supremazia territoriale porta a perdere partite che, evidentemente, nascono sotto una cattiva stella: perché fortuna e sfortuna, nel calcio, esistono, altro che no.