Ci sono allenatori che chiedono tanto, ottengono e poi si rendono conto che arriva anche il momento di dare. Un caso emblematico è Josè Mourinho, amato dai tifosi della Roma a prescindere dai risultati. È andata così per gran parte della sua prima stagione in giallorosso, l’amore si è poi trasformato in venerazione quando il club è riuscito a vincere un trofeo, la Conference League, dopo anni e anni di lunghissimo digiuno. Tutto comprensibile, poco da obiettare. Poi arriva il momento delle richieste, di una campagna acquisti che permetta di alzare l’asticella con la massima disponibilità del club.

Missione compiuta: Mou ha chiesto, quasi senza limiti, e ha avuto perché i Friekdin si sono messi a disposizione e non hanno certamente sbarrato la cassaforte pur di accontentare l’allenatore dei loro sogni. Subito Matic, poi Celik per la fascia destra, quindi Wijnaldum perché serviva un centrocampista con quelle caratteristiche, malgrado un ingaggio insostenibile che avrebbe comportato la congrua partecipazione (puntualmente arrivata) del Paris Saint-Germain. Nel bel mezzo di tutte queste cose il colpaccio Dybala, in anticipo su una concorrenza agguerrita e con una strategia perfetta. Chiudiamo così? Ma no perché manca un attaccante e quindi avanti con Belotti, sempre a parametro zero, per non spremere troppo Abraham e sapendo che partecipare a tre manifestazioni comporta l’allestimento di un organico extralarge. E cosa accade se la sfortuna si accanisce su di te e ti priva di Wijnaldum, vittima di un grave infortunio, poche settimane dopo essere sbarcato nella Capitale? Nessuna paura, prendiamo Camara in prestito dall’Olympiacos. Nel frattempo resistenza assoluta sul fronte Zaniolo, malgrado qualche offerta importante e con la speranza di rinnovare presto il contratto in scadenza tra meno di due anni.

Insomma, il massimo possibile. Un club talmente innamorato di Mourinho che non ci stupiremmo se presto arrivasse anche il famoso difensore. E ci fa sorridere Mou quando dice “non avrei il coraggio di chiederlo”, sapendo che gli sforzi sono stati enormi, ma nello stesso tempo intuendo che ogni sua richiesta è un ordine. Sinceramente abbiamo visto pochi allenatori capaci di avere un appeal così importante, il fascino di Mourinho è rimasto intatto nel tempo e non potrebbe essere diversamente. La Roma, addirittura indicata da qualcuno come possibile candidata per lo scudetto all’interno di una stagione atipica, ha come minimo il dovere di centrare un posto in Champions, passando dalla porta principale (uno dei primi quattro posti) oppure da quella affascinante di servizio (vincendo l’Europa League). Altri risultati sarebbero da giudicare come un fallimento: gli investimenti estivi devono essere onorati con i fatti e non a chiacchiere. L’attesa è così spasmodica che l’Olimpico è sempre sold out, gli abbonamenti sono stati sottoscritti in quantità industriale, la notte della bellissima – emozionante – presentazione di Dybala rappresenta la migliore sintesi di una passione con pochi precedenti. Lo scorso anno la gente affollava lo stadio a prescindere, applaudiva e cantava dopo una sconfitta, la carta di credito verso un allenatore amatissimo sembrava illimitata e non ci sono state crepe di alcun tipo. La conquista di una trofeo ha rappresentato il semplice antipasto di un banchetto da gustare fino in fondo. E proprio qui emergono i doveri di José che non possono essere soltanto diritti quando chiede acquisti su acquisti e viene sistematicamente accontentato.

Niente più alibi per Mourinho: più che un titolo dovrebbe essere un cartello da esporre a caratteri cubitali. Nessuno gli chiede di vincere tutte le partite, non lo farebbero con Guardiola o con Klopp, ma possibilmente di evitare figuracce. La Roma di Udine è stata imbarazzante: un gol incassato a freddo può e deve essere gestito con la mentalità della grande squadra che non si abbatte e che reagisce, è andata, invece, esattamente al contrario. La Roma ha incassato quattro schiaffi, a fine partita Mou avrebbe potuto chiedere scusa e chiuderla in due minuti, invece si é arrampicato sugli specchi parlando di raccattapalle lenti e di arbitro non all’altezza. Dopo aver preso quattro ceffoni, gli alibi non servono e quasi amplificano la figuraccia fatta in campo.

L’esordio in Europa League e la trasferta in Bulgaria dovevano essere l’occasione per un riscatto, per alzare la voce e zittire i soliti censori esagerati che scendono in campo per avvelenare l’ambiente. Ma in Bulgaria la Roma ha fatto anche peggio di Udine: il Ludogorets sembrava il Real Madrid e non avrebbe potuto immaginare di vivere una notte così prestigiosa. La spiegazione di Mourinho: “Non abbiamo fatto benissimo, ma non meritavano di perdere”. Anche in questo caso un’arrampicata a piedi nudi sull’Everest e chi è stato assalito da qualche dubbio e ha rivisitato tutta la partita – non i semplici highlights – ha immaginato che quelle parole in conferenza si riferissero a un altro momento della stagione. Troppo brutta la Roma per essere vera, troppo disorganizzata e con la testa tra le nuvole.

Gli hanno dato tante fantastiche figurine, adesso Mourinho ha il dovere di farne un album invidiatissimo. Fuori metafora: la Roma deve essere una squadra vera, non la collezione di tante singole giocate che permettono di vincere diverse partite ma non di avere continuità. Tocca soltanto a lui, José Mourinho, senza alibi. A metà settembre c’è tempo, certo, ma non tantissimo. E la magnifica prestazione di Dybala a Empoli – gol e assist di spessore – è un bel messaggio per lo stesso allenatore: Mou, c’è Joya per te. E bisogna fare in modo che duri per un anno intero, logica conseguenza di una stagione ricca di soddisfazioni.