Quando meno te lo aspetti ecco che la piccola Italia, quella incapace di qualificarsi per il prossimo, inutile e artificioso mondiale invernale del Qatar, si trasforma, da brutta addormentata, in un manipolo di eroi pronti al sacrificio, alla pugna calcistica. Confesso, è stata una sorpresa, una gradevole sorpresa. Rivedere il Bonucci d’annata, regista basso capace di trovare compagni lontani una quarantina di metri con uno sguardo e traccianti precisi, oltre a guidare la difesa come ai tempi belli, coadiuvato da un Acerbi ritrovato, seconda giovinezza in questo inizio stagione per il ragazzo di Vizzolo Predabissi, provincia di Milano; ammirare il Dimarco che non ti aspetti, all’Inter criticato spesso e pure volentieri, con ogni probabilità mal impiegato da Simone Inzaghi intestarditosi sulle sue capacità nella linea a tre come braccetto di sinistra quando, a ogni partita, deve rendere una quindicina di centimetri all’avversario che lo punta o gli salta in testa ma non importa, si continua nel segno di non si capisce bene cosa; scoprire non solo le qualità del Raspadori rapinatore d’area ma, con gli occhi ancora brillanti, osservarne le capacità nell’arte dello stop volante, del portare a spasso una dormiente difesa d’oltremanica prima di incrociare con un ‘tiraggiro’ degno del miglior Alessandro Del Piero, giusto per scomodarne uno così così.

In mezzo tanta grinta, tanta voglia di correre, soffrire, sacrificarsi, coi compagni infortunati a urlare dalla tribuna come fossero in campo. Insomma, quella che poteva tramutarsi in una Caporetto azzurra con annessa retrocessione nella poule B di una ancor più inutile Nations League – manifestazione voluta dall’UEFA in nome e per conto di denaro, sponsorizzazioni e quant’altro ma che ha l’appeal di un torneo estivo qualunque – facciamo nell’ennesima Caporetto azzurra vista la mancata qualificazione al Mondiale, siamo a quota due di seguito oltre alle due precedenti chiuse parecchio ingloriosamente. Non ci siamo e non va bene non solo per noi tifosi ma per tutto il movimento e la credibilità di un calcio che deve cercare di recuperare posizioni e prestigio, altrimenti anche la vittoria dell’Europeo verrà derubricata come semplice botta di fortuna e nulla più. Del resto l’Europeo l’hanno vinto i danesi richiamati dalla vacanza e i greci, nessuno ci avrebbe puntato un centesimo, sul Portogallo non mi esprimo perché, opinione del tutto personale, i lusitani avevano una squadra completa e tosta, però al Mondiale ci vanno, invece l’ennesima Caporetto, dicevamo, potremmo ricordarla come base per una ripartenza alla scoperta di nuove potenzialità, per la serie testa bassa e pedalare.

Il percorso non è semplice e porterà, qualche volta, a scivoloni brutti e dolorosi, vedasi l’ultimo in Germania ad esempio: però sì, però bisogna ricominciare con quella sana umiltà che ci ha consentito di vincere un Europeo battendo in finale, con pieno merito, i padroni di casa. Lavoro, lavoro, lavoro: non esistono ricette diverse. Il Mancio lo sa, i giocatori lo sanno. Perché quando si è gruppo, quando si torna a essere gruppo, non c’è nulla di impossibile. Bisogna remare tutti nella stessa direzione, con quella fame e quella volontà che abbiamo apprezzato al Meazza ieri sera. Il compagno che corre per il compagno, che lotta insieme al compagno. Inutile rivangare su ciò che non è stato e avrebbe potuto essere: Milano, San Siro, devono essere un punto di non ritorno per il futuro azzurro. Con questa unità d’intenti, con questa determinazione, possiamo lottare per qualsiasi traguardo. Segnali di vita importanti, ne avevamo bisogno: il calcio nostrano ne aveva bisogno.

Alla prossima.