Dovevano vincere, asfaltarci, riportare una coppa a casa perché così volevano (mah) gli dei del pallone. La realtà, purtroppo, a volte è dura, il risveglio pure. Al netto dell’immagine offerta da chi bruciava bandiere italiane per strada, picchiava i nostri tifosi – filmati su internet, ormai con la rete non si può più nascondere nulla e minimizzare a volte fa anche peggio – fischiava il nostro inno. E in campo medaglia tolta con fastidio all’atto della premiazione, pochissime parole per sottolineare la prestazione azzurra. C’era una volta il famoso fair play britannico. Ma non importa, noi godiamo anche di più nel vincere in situazioni del genere. Perché, diciamolo a chiare lettere, l’Italia non ha vinto con merito, casomai con enorme merito.

Questa è la storia calcistica, bellissima, di un gruppo partito qualche anno fa da una pietosa esclusione dal mondiale di Russia. E di un uomo, Roberto Mancini, che nel corso della sua carriera, prima da calciatore poi da allenatore, ha sempre dovuto dimostrare qualcosa: che sì, bravo in campo ma…bravo in panchina ma…Ecco, adesso i ma sono finiti, il Mancio è entrato di diritto nel ristretto gruppo dei grandi tecnici, dei grandi selezionatori: ha scelto il suo gruppo, è stato costretto dai regolamenti a tagliare qualcuno, dagli infortuni a lasciarne a casa altri, ha riportato serenità in un ambiente devastato letteralmente dall’esclusione di cui sopra, con un futuro pallonaro da molti dipinto nero, se non nerissimo.

Allora la FIGC, decisione quanto mai oculata col senno del poi, decide di chiamare al capezzale del pallone italico una faccia nuova, giovane, propositiva: e la scelta cade appunto su di lui, Roberto da Jesi, classe 1964, esperienze importanti in panchina e curriculum di tutto rispetto. Vero, manca il successo internazionale, ma le capacità tecniche del Mancio non sono minimamente in discussione. Gli azzurri iniziano a giocare e a riscoprire, perché tutti rimarcano il concetto, il divertimento nel giocare: quando ti diverti a fare qualcosa beh, quel qualcosa viene molto meglio. Così, passo dopo passo, arriviamo a giocarci gli Europei: non da favoriti, diciamolo subito, pochi o pochissimi avrebbero scommesso un centesimo sulla vittoria finale. Da outsider sì, se non altro per il cammino della Nazionale, tanti risultati positivi, tanti gol fatti, pochi subiti, gioco convincente. Però, dai, chi abbiamo incontrato sulla nostra strada, come se Olanda o Polonia fossero due rappresentative di seconda fascia ad esempio? Però, per carità, ci sta l’appunto.

Inizia la kermesse continentale e il gruppo plasmato da Roberto e i suoi collaboratori, ci piace citare e ricordare Gianluca Vialli e Chicco Evani oltre a Lele Oriali, ma l’elenco è molto più lungo, non fa sconti a nessuno: tre gol all’esordio con la Turchia, tre alla Svizzera giustiziera della Francia in un ottavo che i rossocrociati ricorderanno a lungo e uno al Galles, risultato quanto mai bugiardo. Ottavo durissimo con l’Austria che non ti aspetti, poi quarti spaziali contro il Belgio, numero uno del ranking mondiale, vittoria ben oltre il due a uno finale con rigorino generoso donato ai diavoli rossi. Semifinale tremenda e ostica, opposti alla miglior Spagna degli ultimi anni, soffrendo senza mai mollare un secondo. E il capolavoro finale: perché quando a casa anzi, in casa, dei tuoi avversari mantieni il 66% del possesso palla e collezioni diciannove tiri verso la loro porta contro i loro sei verso la nostra beh, dai, di che parliamo? Del nulla. Del vero nulla. In una partita, ci piace sottolinearlo finalmente, fischiata egregiamente dal Signor Kuipers da Oldenzaal, mattatore indiscusso della serata, che lascia il calcio con un arbitraggio da mostrare e rimostrare ai giovani direttori di gara.

L’Italia ha vinto perché è stata la più continua, la più forte, la più convinta, la più squadra. Dove tutti, proprio tutti, corrono per gli altri prima che per sé stessi. Dove il concetto di aiuto al compagno è legge. Dove nessuno molla niente, manco per un secondo. Ora inizia il difficile: non siamo e non saremo più una sorpresa, siamo e saremo per i nostri avversari una certezza. Per loro, per tutti loro, lezioni di italiano. A go go. 

Alla prossima, campioni d’Europa.