La scorsa estate era stata celebrata come quella della doppia rivoluzione capitale. José Mourinho alla Roma. Maurizio Sarri alla Lazio. Come minimo la sintesi di un taglio netto con il passato: sulla sponda giallorossa si erano sempre lamentati di non aver avuto un allenatore davvero all’altezza, capace di incidere e di aprire un ciclo; su quella biancoceleste sapevano che l’amatissimo Simone Inzaghi prima o poi avrebbe spiccato il volo, l’addio di Conte all’Inter gli aveva spalancato un’autostrada fino alla Pinetina che – con il contratto in scadenza – ha voluto imboccare senza alcun tipo di indugio. E i fatti gli hanno dato ragione, il suo lavoro è sotto gli occhi di tutti: per certi versi Inzaghi ha un bilancio parziale migliore del suo predecessore, ma questo è un altro discorso che andrà sviluppato nei prossimi mesi.

Intanto, dopo cinque mesi, l’esaltazione Capitale è diventata un mix tra paure, tormenti, inquietudini e infiniti punti di domanda. Nessun problema fino a quando i rispettivi club vorranno mantenere la fiducia nei riguardi dei rispettivi allenatori (l’aria è questa, Sarri ha già l’accordo per il rinnovo). Tuttavia qualche riflessione va spesa, anche perché si tratta di due situazioni che non hanno un comune denominatore e che – anzi – sono quasi agli antipodi l’una dall’altra.
La Roma ha regalato a Mourinho un mercato estivo che non andava criticato, semplicemente perché gli sforzi fatti sono stati enormi malgrado situazioni di bilancio non proprio confortanti. Soltanto per due attaccanti, Abraham e Shomurodov, la Roma dovrà completare operazioni per circa 65 milioni (bonus compresi). E già suona strano che, per giustificare l’incredibile sconfitta contro la Juve, piuttosto che ammettere alcuni suoi errori lo stesso Mourinho se la sia presa – pur senza fare nomi – con l’attaccante. E proprio Shomurodov avrebbe potuto essere una riflessione più profonda: che senso ha avuto ingaggiarlo, avendo Borja Mayoral in organico, e con la necessità di prendere un centrocampista da circa 20 milioni, esattamente gli stessi soldi spesi per chiudere la trattativa con il Genoa? Errori che si pagano, dentro un mercato che aveva portato un buon portiere come Rui Patricio e Vina per sostituire lo sfortunato Spinazzola, comunque altri soldi investiti. E soprattutto la resistenza per non cedere gente ricercatissima come Veretout e Zaniolo. Tutto in nome di Mourinho che, non a caso, nella sessione di mercato in corso ha già avuto Maitland-Niles e Sergio Oliveira, quest’ultimo non proprio un acquisto banale per esperienza, caratteristiche tecniche e personalità.

La morale di questa storia è semplicissima: Mourinho ha avuto tanto, malgrado i suoi lamenti, e ha dato poco. Non si può pensare che ogni società che lo ingaggia debba spendere 100 o 200 milioni, ma alla tripla cifra solo per i cartellini la Roma ci è quasi arrivata, seguendo gran parte delle indicazioni del suo Special One. Che tanto Special non è se, dopo ogni sconfitta, distribuisce colpe a tutti tranne che a se stesso, spostando a volte il tiro sugli arbitri oppure su chissà chi, ulteriore conferma della sua straordinaria abilità di comunicatore. Ma siccome la gente non è stupida, anche quella che continua ad appoggiarlo, bisognerebbe uscire alla scoperto e spiegare per quale motivo la squadra non abbia avuto un rendimento minimo da giustificare il lavoro fatto da Pinto e soci a partire dalla scorsa estate. Certo che c’è tempo, ma a patto di non bruciarne altro andando solo alla ricerca di alibi.
Maurizio Sarri è un perfezionista e, conoscendolo, non può essere soddisfatto del rendimento. Continuità inesistente, troppi sprazzi, la sua mano che si vede poco e che necessiterebbe non soltanto di uno sforzo sul mercato ma soprattutto della ricerca di gente davvero adatta alla sua filosofia. Per certi aspetti Sarri avrebbe potuto incidere meglio sulla Roma, maggiormente predisposta al 4-3-3, piuttosto che sulla Lazio, abituata da anni e anni al 3-5-2 di Inzaghi, con la logica conseguenza che l’adattamento, psicologico e non soltanto tattico, sarebbe stato molto complicato.

La Lazio non ha speso la tripla cifra in cartellini della Roma, ma soltanto una ventina di milioni per il centrocampista Basic (arrivato dal Bordeaux) e per l’esterno offensivo Zaccagni (preso dal Verona), esterno da adattare rispetto alle sue precedenti abitudini. Gli altri tre colpi (Hysaj, Felipe Anderson e Pedro) sono stati praticamente a zero. L’indice di liquidità aveva frenato il club per gran parte dell’estate e lo sta condizionando in questi giorni. Indice di liquidità significa che, senza operazioni in uscita, non si possono fare acquisti, quindi molto dipenderà dalle cessioni (Lazzari in testa). Eppure la Lazio ha due portieri (Reina e Strakosha) più due difensori centrali (Luiz Felipe e Patric) in scadenza, quasi un record del mondo. Come se non bastasse, un altro centrale (Acerbi) resterà fuori per circa un mese, quindi il mercato servirebbe come l’aria per respirare. Già Sarri si era dovuto arrampicare adattando Hysaj a sinistra e rinunciando a Muriqi (costato circa 20 milioni!) perché non ritenuto all’altezza di giocare anche in assenza di Immobile.

Certo, la situazione migliorerà: peggio di così evidentemente non si può. Tuttavia Sarri si sarebbe dovuto tutelare prima, chiedendo garanzie sull’arrivo di gente adatta al suo modulo. La stessa Lazio (che nel recente passato ha bruciato decine di milioni tra Vavro, Muriqi, Durmisi, Fares e compagnia) avrebbe dovuto intuire che una rivoluzione va sostenuta meglio. L’indice di liquidità va rispettato, ma comprende errori del passato. Sarri sogna Kepa più Emerson Palmieri per la prossima estate, gli piace Vecino, ma intanto deve pensare al presente. In fondo, era reduce da due trionfi: l’Europa League con il Chelsea e lo scudetto con la Juve. Motivi validissimi per chiedere di più a Lotito: non l’ha fatto per troppa generosità o disponibilità, urge recuperare presto il terreno perduto.