Il Napoli ha vissuto fin qui una stagione sulle montagne russe. Il grande rendimento con il marchio indiscutibile di Luciano Spalletti, ma anche incredibili contrattempi (tra infortuni seri e Covid) che avrebbero schienato chiunque. A lungo in testa, con trame di gioco che non si vedevano dai tempi di Maurizio Sarri, il sorpasso dell’Inter anche per l’inevitabile tassa pagata alle enormi contrarietà, e qualche scivolone in casa (Empoli e Spezia in testa) che nessuno avrebbe potuto mettere in preventivo.

Eppure il Napoli ha avuto la forza di reagire, di restare attaccato al carro scudetto, alla larga dalla depressione che avrebbe condizionato il rendimento di qualsiasi altro club. Non c’è stato un reparto immune da autentiche sciagure: Spalletti pensava di perdere Koulibaly, Anguissa e Osimhen per la Coppa d’Africa, il destino malvagio ha voluto che si fermassero prima. E non sono stati infortuni da una o due settimane, ma roba davvero difficile da digerire. Nel bel mezzo del caos anche la vicenda Insigne, il rinnovo impossibile, l’irruzione del Toronto e la trattativa chiusa alla vigilia della trasferta in casa della Juve: c’era materiale in abbondanza per lasciare spazio alle divagazioni, alle polemiche, alle interpretazioni più fantasiose e variopinte. Invece, un’altra montagna altissima è stata scalata senza precipitare.

Adesso è in arrivo l’Inter, lontana solo un punto anche se con una partita in meno, e lo possiamo definire un incrocio fondamentale per lo scudetto. Già, perché il Napoli mai si è nascosto e a maggior ragione non intende farlo adesso che ha ha recuperato tutta la gioielleria (soltanto Lozano è ko tra i titolatissimi o presunti tali). Vincere significherebbe recuperare il 100 per 100 dell’autostima che molto spesso ha accompagnato il tragitto azzurro. Vincere significherebbe soprattutto togliere certezze all’Inter, che ha appena perso un derby a lungo controllato, e acquisirne in quantità industriale. Nel frattempo Koulibaly ha alzato in cielo la Coppa d’Africa, un momento indelebile per entrare nella storia. Anguissa è pronto per rimettersi a completa disposizione e sappiamo quanto il suo contributo sia determinante. Osimhen ha indossato la mascherina, si è ripreso la maglia da titolare, ha ribadito quanto sia decisivo negli schemi di Spalletti, il colpo di testa con gol pesantissimo a Venezia è una specie di assegno in bianco che il Napoli potrà riempire a piacimento nei mesi più importanti della stagione. Osimhen è una carezza che rinsalda le ambizioni, che le rende possibili, stuzzicando qualsiasi sogno senza il concreto rischio che possa diventare un incubo. Il Napoli sa che, comunque vada, non si sveglierà tutto sudato. La consapevolezza di poterci provare, con la leggerezza e la convinzione trasmesse rapidamente da Spalletti, vale tantissimo e restituisce privilegi smarriti.

E poi c’è una storia che merita la copertina con titoli a caratteri cubitali. È la storia di Stanislav Lobotka, metronomo di 27 anni compiuti due mesi e mezzo fa. Un grande colpo di mercato, almeno sulla carta, di due anni fa: De Laurentiis fece partire un bonifico di oltre 20 milioni per convincere il Celta Vigo a lungo titubante sulla necessità di farlo partire. Le offerte al rialzo fecero crollare il muro e in quella sessione di mercato arrivarono sia Lobotka che Demme per un grande restauro a centrocampo voluto da Rino Gattuso. Soltanto che, ecco l’errore, strada facendo Lobotka ha perso sicurezze, ha abbassato il minutaggio non per colpa sua ma per una scelta dell’allenatore che lo aveva invocato. Rapidamente fuori dai radar, Ringhio lo aveva preteso e poi lo aveva emarginato.

Inevitabile pensare a una cessione e la scorsa estate il club stava davvero ascoltando le sirene, quando – all’improvviso – il nuovo allenatore decise di tiralo fuori da qualsiasi traiettoria. Incredibile: Spalletti, che aveva trovato Lobotka e che non lo aveva chiesto, si era ricordato delle qualità indiscutibili di uno specialista che ai tempi dell’Inter aveva inserito in una lista di possibili acquisti senza essere accontentato. Da comparsa a primo attore, presente nelle rotazioni fin dalle amichevoli estive, rigenerato come se fosse uscito da una cura ricostituente certamente non voluta da lui. Quello di Lobotka era un problema mentale e non tecnico, anche se una parte della stampa napoletana lo aveva ingenerosamente bollato come un “pacco” non disdegnando critiche velenose nei riguardi del club. Adesso è inutile sottilizzare sul fatto che Anguissa tornerà a pieno regime, che Fabian Ruiz è intoccabile e che lo stesso Demme sarà molto utile, si tratta di un discorso banale.

In questo Napoli ci sarà sempre più bisogno di Lobotka che a Venezia ha raggiunto la vetta più alta: il 90 per cento di passaggi riusciti, oltre 11 chilometri macinati e una personalità strepitosa. In ogni momento essenziale della partita c’era lui, con un recupero complicato, con una verticalizzazione e con uno scarico per il compagno smarcato. Stanislav è il manifesto del grande orgoglio al potere: era considerato un optional, inutile e pagato in modo eccessivo, ora quei 20 milioni abbondanti, versati a suo tempo, hanno maturato gli interessi. E i famosi criticoni hanno perso la parola, in fondo basterebbe chiedere scusa. Lobotka al servizio del Napoli, il club che memorizza certezze di due anni fa, quando pensava di avere completato un grande acquisto. Magari non segnerà i gol di Osimhen, non disegnerà traiettorie impagabili come Fabian Ruiz, non dipingerà come quell’artista di Zielinski. Ma sarà sempre sul pezzo, felice di esserci e più che mai competitivo. Anzi, più forte di tutto: come quella meravigliosa creatura modellata, comunque vada, da Luciano Spalletti.