Max Allegri ha chiuso a 70 punti, senza un titolo in bacheca, bottino misero e lunghi mesi di noia totale. L’esaltazione del quarto posto Juve, come se fosse una medaglia al petto. Sarebbe il caso di evitare la famosa frase “era l’obiettivo minimo” perché non rientra nella tradizione e nei numeri di un club che ha giustamente almeno il dovere di lottare fino all’ultimo per conquistare lo scudetto. Lottare significa esserci, la Juve era praticamente fuori da novembre: il fatto che potesse rientrare in corsa se avesse battuto l’Inter conta poco o nulla.

Gli investimenti a gennaio sono stati superiori agli 80 milioni soltanto per i cartellini: 75 per strappare Vlahovic alla Juve e anticipare l’investimento previsto per l’estate, 5 (più 3 di bonus) per liberare Zakaria dal Borussia Moenchengladbach a pochissimi mesi dalla scadenza. Certo, Allegri aveva perso Ronaldo nella sessione precedente di mercato, ma questo dettaglio non giustifica il fatto di uscire dalla Champions prendendo tre gol in casa dal Villarreal. E neanche esprimere una cifra tecnica davvero modesta, senza un organizzazione di gioco degna della Juve. Allegri ha vinto molto in bianconero quando ha avuto grandi campioni, che di sicuro aveva gestito benissimo e senza troppi voli pindarici. Quando si è avvertita la necessità di andare oltre, valorizzando i giovani e mettendoci idee che potessero far decollare il progetto del punto di vista tecnico, sono emersi limiti enormi. Nessuno si offenda, ma raramente negli ultimi 10 anni abbiamo visto la Juve giocare così male. Meglio: raramente abbiamo visto la Juve così in difficoltà nel costruire e proporre: l’idea (banale) è sempre stata quella di aspettare e ripartire. Non un modello, quasi un’onta.

Una nuova Juve è indispensabile: questo è il carteggio che campeggia, idealmente e non, sulle pareti di chi è davvero molto legato alle vicende bianconere. Una nuova Juve è indispensabile dal punto di vista della mentalità. E questo concetto è stato memorizzato dalla proprietà per un ribaltamento totale rispetto alle precedenti strategie, come se si trattasse di un’improvvisa “inversione a u” sull’autostrada. Ricordate le parole di Andrea Agnelli, rilasciate con convinzione e anche con la giusta autorevolezza che occorre in situazioni del genere? Il presidente dichiarò che la Juve avrebbe puntato su giovani di gran talento, quasi a voler prendere le distanze da operazioni onerosissime – come quella per Cristiano Ronaldo – che avevano dato grandi ritorni di immagine e di merchandising ma che non avevano consentito alla Juve di uscire da quella dolce ossessione chiamata Champions. Anzi, con CR7 è andata peggio se consideriamo le due eliminazioni agli ottavi e quella ai quarti contro l’Ajax, un sogno frantumato senza la possibilità di arrivare come minimo in semifinale.

Agnelli parlò di giovani forti, anche a costo di spendere per il cartellino: una traccia che aveva avuto in de Ligt il primo grande passaggio e che poi aveva compreso prima Federico Chiesa, subito dopo Dusan Vlahovic. Un percorso che la Juve avrebbe voluto portare avanti con convinzione, prima che emergessero altre esigenze.
Agnelli ha cambiato rotta, ovviamente dopo un confronto con i suoi uomini mercato costantemente collegati con Allegri. Ben vengano i talenti del futuro, ma per provare a colmare un gap e tornare a vincere meglio andare sui ragazzi non più dalla carta d’identità freschissima ma con un talento indiscutibile. Primo passaggio Paul Pogba, una scelta fatta grazie al desiderio del ‘Polpo’ di tornare a casa accontentandosi di un ingaggio inferiore (7,5-8 milioni a stagione più bonus) rispetto a quanto gli avrebbe potuto offrire – per esempio – il Paris Saint-Germain.

Poi, occhio agli esterni offensivi, una svolta necessaria per far volare il famoso 4-3-3 (e dintorni) di Max. In lista da tempo c’è Angel Di Maria che avrà 34 anni ma possiede pur sempre una classe infinita. La contemporanea rinuncia a Bernardeschi, deludente interprete degli ultimi anni malgrado un mega-investimento per strapparlo alla Fiorentina e un ingaggio da circa 4 milioni a stagione. Meglio darne 7 a Di Maria per non andare a sbattere contro un muro, la Juve sta riflettendo molto, ha già il via libera dell’argentino. E prenderà comunque un altro esterno, dopo aver memorizzato che Perisic ha dato – secondo copione – la precedenza all’Inter. Un profilo che piace molto è quello di Filip Kostic, reduce da una fantastica stagione con l’Eintracht Francoforte (con l’Europa League in bacheca), un solo anno di contratto con il suo attuale club, alle spalle una trattativa la scorsa estate con la Lazio non andata in porto per una questione di millimetri.

La traccia è questa, poi arriverà un regista (in lista c’è Paredes), magari un terzino sinistro (intriga Udogie dell’Udinese), bisognerà sostituire l’incredibile Chiellini che ha deciso di lasciare e di concedersi un’esperienza con il Los Angeles FC: contratto fino a dicembre 2023 e la profonda soddisfazione di aver dato tutto per la Juve con un rendimento assolutamente indiscutibile. Ma si tratta di un normale esaurimento del ciclo, le cose belle prima o poi finiscono e il contributo di Chiellini è stato formidabile. Ora è il momento di voltare pagina, di essere più competitivi, di regalare a Max Allegri nuove certezze e campioni consacrati, senza dimenticare la gioventù al potere. È probabilmente l’unica strada per dimenticare una stagione orribile.