Tra il sentimento e la ragione dovrebbe esserci la logica. Paulo Dybala che rompe definitivamente con la Juve non è una bella notizia per chi ha a cuore il bilancio di qualsiasi club. Non esiste la fede, non conta essere tifoso di tizio o di caio, piuttosto a fare la differenza dovrebbe essere il seguente concetto: quando non sei in condizione (oppure non vuoi, è la stessa cosa) di andare avanti con il tuo tesserato di riferimento, procedi lo stesso al rinnovo oppure vendi al più presto possibile. L’esatto contrario provoca un senso di povertà che chiama in causa il sentimento (appunto) e non soltanto l’aspetto economico o il bilancio. Anche quello, ci mancherebbe, ma è un discorso – importantissimo – che emerge in un secondo momento. Funziona come se ti portassero via un gioiello di famiglia e tu, impotente, sei lì ad assistere. Peggio se te lo sei fatto portare via e nulla hai fatto per custodirlo, al limite per venderlo.

Dybala come Gigio Donnarumma. Oppure, se preferite, come Messi e Sergio Ramos. Tutti via a parametro zero, anche se le situazioni spagnole proponevano due fenomeni a fine carriera e che avevano aperto a una nuova esperienza. Ma ormai funziona così e i top club si sono adeguati: persino il potentissimo e ricchissimo Bayern si è rassegnato dinanzi all’idea di perdere Alaba, non perché non potesse mettere sul tavolo una cifra faraonica ma perché il desiderio del ragazzo era quello di andare a Madrid e di sentirsi Real. In questo caso, Dybala appunto, entriamo nella macchina del tempo e ricordiamo quanto è accaduto. A settembre e ottobre scorsi l’accordo era stato raggiunto, praticamente con una stretta di mano, tra il suo agente Antun e gli uomini di Agnelli. Ingaggio da 8 milioni più 2 di bonus, intesa pluriennale: quei 10 milioni sarebbero diventati presto la base definitiva, cancellando i bonus. Tra novembre e dicembre la conferma, al punto che se Antun fosse stato in Italia ci sarebbe stato un bell’autografo a sancire tutto. Invece, un semplice rinvio, non immaginando (oppure sì..) che presto i temporali avrebbero fatto capolino e si sarebbero tramutati in una bufera.

Negli ultimi tre mesi la situazione si è ribaltata e ci sono almeno tre-quattro motivi che hanno prodotto la differenza. Gli infortuni e il rendimento: la Juve ha visto Paulo più in infermeria che in campo. L’investimento Vlahovic a gennaio, molto oneroso, che ha portato il club a spendere 75 milioni e a garantire un ingaggio da 7 milioni a stagione. A quel punto la decisione di rivisitare quella proposta già formulata a Dybala (8 milioni più 2 di bonus), scendendo sia dal punto di vista degli emolumenti che della durata. In sintesi, non più 8 più 2 ma al massimo il tetto di Vlahovic (7 milioni a stagione). Non più 5 anni, piuttosto 3 come se tutti quegli infortuni avessero minato le certezze.

Come se la Juve avesse voluto mandare un messaggio, della serie: non ci fidiamo più, vediamo prima come stai e poi ne riparliamo. Le scudisciate dell’amministratore delegato Arrivabene, da dicembre in poi, erano la sintesi dell’orientamento del club bianconero. All’ultimo appuntamento la Juve si è presentata senza il minimo interesse. Dybala mai avrebbe potuto accettare un’inversione sull’autostrada (esci al primo casello per fare la strada opposta rispetto a quella concordata) dopo la quasi stretta di mano tra ottobre e dicembre. Addio. Alle spalle 113 gol e qualcosa in meno di 50 assist, cinque scudetti e la profonda soddisfazione di essere bianconero. Marotta investì 40 milioni (bonus compresi) per strapparlo al Palermo del suo amico Zamparini. Non più tardi di 48 ore fa parole bellissime dopo il recital contro la Salernitana, come spesso succede (l’attaccamento resta) quando l’addio è dietro l’angolo. La maglia numero 10 ereditata, soprattutto un passaggio inequivocabile: per la Juve mai Dybala è stato intoccabile, lo aveva ceduto al Manchester United due anni e mezzo fa.

Ceduto, sì, tutto fatto: la cessione saltò soltanto perché Paulo si ribellò, non avrebbe voluto lasciare la Juve, si sentiva a casa. Ma forse (senza forse) quella chiave di lettura resta inequivocabile: per la Juve non era indispensabile, sarà più importante prendere Zaniolo (primo della lista), un difensore centrale roccioso e veloce più un paio di centrocampisti fortissimi.
La domanda, attualissima, è: ora cosa farà Dybala? C’è tempo, nessuna fretta, esisteva soltanto la necessità di tagliare un cordone ombelicale che non aveva più motivo di esistere. Soltanto gli ingenui avrebbero potuto pensare che un incontro nel primo giorno di primavera avrebbe risanato come per magia un rapporto inesistente.

E il futuro? Sarà inevitabile accostarlo all’Inter per il profondo e sincero legame con Marotta, l’uomo che lo portò alla Juve. Ma oggi Marotta ha altre necessità, deve prendere un attaccante giovane (Scamacca l’indiziato, bisogna trovare intesa con il Sassuolo) e in fondo in squadra ha Lautaro che con l’Argentina è il titolare mentre Dybala la sua riserva. Nulla escludiamo, ci sarà tempo, l’Inter resta alla finestra in attesa di capire. Se tra un mese la situazione fosse ancora aperta, chissà. Oggi no. La Premier non è stato fin qui considerato il campionato per una ripartenza, da qui il no al Manchester United, ma può darsi che altri club abbiano un appeal superiore.

Dybala stravede per la Spagna, andrebbe al Barcellona o al Real ma oggi entrambe le big sono su altri sentieri (Lewandowski, Mbappé in arrivo, la pratica Haaland con il Manchester City concorrente). Oggi è così, le situazioni cambiano in pochi giorni. L’Atletico Madrid sarebbe pronto, prontissimo, Simeone stravede per lui ma sarebbe il tipo di calcio ideale per le sue indubbie qualità? Avremo modo per sviluppare i concetti e per pesare le proposte, anche tecniche (non soltanto economiche). Nel frattempo scorrono i titoli di coda di un film che prometteva tanto e che poi ha perso la trama – il famoso filo conduttore – non ritrovandola più. Juve, c’era una volta la Joya.