Zlatan pensava (e pensa ancora) di mettere le tende per 18 mesi a Milano, ama il rossonero e si era anche un po’ violentato prima di dire sì, tutt’altro che convinto da un progetto non troppo competitivo. Invece Zlatan sa che il suo parcheggio potrebbe durare per non più di pochi mesi, assurdo ma vero. Al punto che la domanda sorgerebbe spontanea: chi gliel’ha fatto fare? Non poteva contare fino a cento prima di sciogliere le riserve? Non aveva intuito che era una mezza trappola? Lo avevano ingaggiato per coprire un momento nero, nerissimo, dopo quel 5-0 confezionato dall’Atalanta che aveva fatto precipitare il borsino e gli umori.

Zlatan è troppo furbo per non saper stare al mondo, ma si era fatto utilizzare volentieri. E coltivava (o coltiva?) la speranza, quella di mettere piede a Milanello in una situazione drammatica per poi poter pensare a un menu molto gustoso per la stagione 2020-2021. Magari dopo aver svegliato qualche giovane che dormiva, qualche nuovo acquisto che non aveva ancora capito bene di essere al Milan, qualche senatore un po’ imbalsamato per la mediocrità di risultati che avevano tolto qualsiasi tipo di certezza. Un lavoro che Ibrahimovic ha fatto, con generosità e umiltà, ma poi ha capito – senza troppi giri di parole – di essere stato abbandonato e/o tradito, sentimenti che mai avrebbe potuto preventivare nel momento del nuovo sbarco a Milano.

La fine del rapporto con Boban è stata la prima mazzata sulle aspettative di Zlatan. Era stato proprio Zorro ad alzare il pressing nei momenti più difficili della trattativa, quando lo svedese pensava di non essere gradito a tutto il club e non voleva fare la fine della comparsa, del presunto appestato oppure del sopportato. Boban si era speso e sbattuto, senza la sua regia non si sarebbe girato il seguito del film Ibra. Ora Boban è fuori dai giochi. Maldini è come se lo fosse perché sarebbe sorprendente se – dopo le tumultuose vicende con Gazidis che l’ha spesso scavalcato – facesse marcia indietro e decidesse di restare.

Senza Boban e Maldini, sarebbe come se un bimbo non avesse mamma e papà all’uscita da scuola e dovesse tendere la mano a una cugina che in passato non l’ha mai amato. Fuori metafora, verrebbero a mancare gli ingredienti necessari per proseguire il rapporto. Per la verità Gazidis ha teso timidamente una mano, non sappiamo se per istinto oppure per rispetto nei riguardi di un grande campione, che ha deciso di aiutare il Milan in un momento di grande difficoltà quando avrebbe avuto soltanto da perdere e non da guadagnare (il riferimento non è soltanto al conto in banca).

Boban e Maldini, in coppia piuttosto che isolati, sarebbero stati la conferma che al posto di comando avrebbero agito quei due che si erano sbattuti per scardinare il muro del fondo Elliott da sempre contrario agli ultratrentenni per un club come il Milan, come se si trattasse di formula non scritta o di una legge divina. La timida mano tesa da Gazidis sembra più che altro un modo formale per fare una mossa; ci aspettiamo un’accelerata immediata dopo aver sprecato troppo tempo. Dal punto di vista di Zlatan, la porta definitivamente sbattuta in faccia suonerebbe come tradimento, non soltanto perché sono stati fatti fuori i due amici che lo avevano convinto a rinfrescare la storia, ma anche per l’intera gestione della vicenda senza un passaggio davvero convincente.

Quindi, se non cambieranno le cose, sarà difficile che tra un mese, quando si allenterà questo tsunami in corso, Ibra sia disponibile a un nuovo viaggio rossonero. Abbiamo detto difficile, non impossibile, perché molte situazioni possono cambiare all’improvviso. In fondo Ibra lo aveva capito già al momento della firma: aveva chiesto un anno e mezzo, con forza e insistenza non per gonfiare il conto in banca, ma per evitare che la sua posizione non restasse subito in bilico. Se il Milan avesse voluto sgombrare il campo da qualsiasi equivoco, avrebbe sottoscritto un impegno fino al 2021 anche per un segnale di riconoscenza, la classica (e dovuta) eccezione rispetto alla politica aziendale. Niente.

Se finisse realmente così, ma il consiglio è quello di aspettare, sarebbe un’occasione persa. E sintetizzerebbe l’inutilità della mossa dello scorso inverno quando il Milan si aggrappò con tutte le sue forze al mitico Zlatan. Un’occasione persa perché Ibra ha dimostrato di avere qualche anno in meno delle 39 primavere (a ottobre) che avrebbero minato il fisico di chiunque. Certo, non gli si può chiedere di giocarle tutte, soprattutto se ci fosse l’intermezzo dei turni infrasettimanali, ma nello spirito è ancora un venticinquenne e come tale avrebbe potuto essere molto utile al chiodo fisso dei “largo ai giovani” della proprietà rossonera.

Perché Ibra i giovani li coccola, li accetta, li aiuta, spesso li sveglia dal torpore o dalla mancanza di personalità. È questo il passaggio che Elliott e i suoi uomini (Gazidis in testa) non hanno memorizzato. Ibra per sei mesi sarebbe un ibrido, un controsenso, una cosa senza la minima logica, a maggior ragione per non aver letto dentro questi mesi trovando tanti indizi se non completamente favorevoli, come minimo confortanti. E poi sarebbe anche ora che il Milan capisse di essere il Milan, una volta per tutte. Il progetto dei rampanti che possono diventare famosi non paga da subito, soprattutto se cambi allenatore ogni sei mesi e se buchi qualche operazione fondamentale. Il Milan non ha bisogno di ventenni che possono ipoteticamente diventare assi. Meglio: non ha bisogno soltanto di ventenni, li devi accompagnare con Ibra, con Thiago Silva, magari con Modric, magari con qualche ventottenne ancora nel pieno della carriera, potendo contare sul fatto che hai un appeal superiore alla mancata partecipazione alla Champions e ai disastri dell’ultima stagione.

Ecco perché la proprietà non ha davvero memorizzato cosa avrebbe dovuto fare, all’interno di un mercato molto concreto, mettendo qualche paletto a Gazidis che – ai tempi dell’Arsenal – è diventato famoso (eufemismo) per aver speso un mucchio di quattrini con risultati neanche minimamente all’altezza di quel budget sperperato. E ricordiamoci sempre che il Milan non è l’Arsenal per storia, blasone, tradizione e trofei in bacheca.
Ci dispiacerebbe se domani, un domani ipotetico, Ibra si svegliasse con la voglia di smettere, perché deluso dall’esperienza Milan, con le batterie (soprattutto psicologiche) scariche di chi si è sentito utilizzato e poi tradito.

Ci avrebbe pensato il Monza del suo amico Galliani, se non fossimo entrati in una fase così difficile e piena di problemi extracalcio. Di sicuro ci penseranno altri, anche in Italia, e magari si riaccenderanno le lampadine del gigante svedese. A meno che non sia proprio il Milan a sciogliere le riserve senza eccessive riflessioni. Lo stesso Milan che dovrebbe dire solo “grazie, continuiamo” a Ibra; invece anche nella gestione delle cose più semplici tutto sembra complicato. Una routine che lascia il gusto molto amaro di mesi, ormai anni, scialacquati senza una rotta da seguire. C’era una volta il grande Milan.