Edin Dzeko non è un robot, merita rispetto, lo stesso rispetto che non ha avuto in questi giorni. Certo, ha sbagliato un paio di gol semplici contro la Juve, gol che in condizioni di normalità mai avrebbe fallito. Ma era reduce da una settimana assurda, la peggiore che chiunque potrebbe augurarsi in pieno mercato aperto. E quindi, anche per questo motivo, riempirlo di critiche è stato un esercizio assurdo, quasi da becero social e senza un minimo di raziocinio.

Serve un riepilogo che faccia capire. Sabato 19 settembre Edin partecipa alla trasferta di Verona soltanto per onor di firma: la Roma lo ha ceduto alla Juve per 16 milioni e il gigante bosniaco ha un accordo totale con i bianconeri per 7,5 milioni a stagione più eventuali bonus. Quella volta, rispetto ad altre situazioni, una scelta completamente sua. Già, perché qualche anno prima era stato tentato dal Chelsea, ma cambiò idea poco prima di entrare nella fase decisiva della trattativa. E nell’estate del 2019 l’Inter lo aveva corteggiato con argomenti convincenti, una precisa richiesta di Antonio Conte, ma poi si perse troppo tempo e si entrò in un tunnel infinito. Al punto che Dzeko decise di prolungare con la Roma, adeguamento corposo, felicità sua e della signora di restare in una città che ama davvero.

Sembra una storia di dieci anni fa, invece è abbastanza recente. Al punto che nessuno avrebbe potuto immaginare che Edin sarebbe finito nuovamente sul mercato, di solito quando rinnovi un anno prima nel novanta per cento dei casi resti dove sei fino alla conclusione della carriera. A maggior ragione se pensiamo che stiamo parlando di un ragazzo del 1986, non di un ventiduenne, anche se sicuramente integro e competitivo. Ma, ripetiamo, se rinnovi a 33 anni, difficilmente torni sul tavolo delle trattative. Invece, le cose cambiano in due settimane, figuriamoci in un anno abbondante. Dzeko non aveva chiuso la stagione benissimo, non ci riferiamo certo al rendimento – quello sempre indiscutibile- ma al rapporto deteriorato con Fonseca. Ricorderete le parole dopo l’eliminazione in Europa League per merito del Siviglia? Scudisciate senza troppi giri di parole. Destinatario l’allenatore, reo di non aver preparato la partita nel migliore dei modi, una Roma troppo in balia delle onde, troppo disorganizzata e mai davvero in corsa per la qualificazione. In quei giorni forse è scattata una molla nella testa di Edin, la necessità di andar via per provare una nuova esperienza.

La Juve si è materializzata presto, già nelle prime settimane di agosto, proprio perché Pirlo aveva individuato in Dzeko la sponda perfetta per accendere Ronaldo e coesistere con Dybala. La motivazione chiarissima: Dzeko non è soltanto un finalizzatore, ma un sopraffino regista dei giochi offensivi, nel senso che si sbatte per la squadra, apre gli spazi, fa le sponde, indietreggia di venti metri e consente gli inserimenti dei centrocampisti. Insomma, il massimo per un allenatore fresco di nomina che avrebbe voluto uno specialista del genere, se vogliamo l’esatto contrario rispetto a Morata che si sarebbe materializzato dopo il naufragio della trattativa con la Roma. Il contenzioso con Fonseca, le rispettive idee agli antipodi, avevano fatto la differenza e messo Dzeko ben oltre le perplessità: via libera alla Juve e vediamo cosa accade. Purtroppo è accaduto l’imponderabile perché nessuno avrebbe potuto dire a Edin o immaginare che, dopo essersi presentato per la prima parte di visite mediche con la Roma, Milik e il Napoli non si sarebbero trovati sulla questione “contenziosi e stipendi arretrati”.

La storia dell’ammutinamento (“rinunci tu o rinuncio io?”) ha allungato i tempi e ha complicato tutto in modo irrimediabile. Il Napoli ha perso 25 milioni di euro per un cartellino in scadenza, Milik ha perso 25 milioni netti (in cinque anni) correndo seriamente il rischio di vivere un mercato in apnea fino agli ultimissimi giorni, quelli che stiamo vivendo. Di sicuro Dzeko mai avrebbe potuto immaginare tutto questo, anche perché lo stesso Pirlo (prima di virare su Morata che non era la prima scelta) aveva evidenziato come il bosniaco fosse un vero, grande, obiettivo della Juve. La prima scelta, anche se questi particolari – per ovvi motivi – l’allenatore bianconero non avrebbe potuto confermarlo.

Ora, se vogliamo davvero trovare il classico cavillo, forse Dzeko e la Roma si sarebbero potuti risparmiare quel balletto di sabato 19 settembre. Già, perché in linea di massima non esiste proprio che parti con la tua squadra, resti in panchina e costringi l’allenatore a schierare Mkhitaryan come finto centravanti, non entri a mezz’ora dalla fine (poco importa per colpa di chi), non partecipi alla riunione tecnica e neanche all’allenamento defaticante. A quel punto sarebbe stato meglio restare a Roma, senza essere convocato. Perché molte volte accade che, pur essendo sul punto di cambiare aria, giochi lo stesso da titolare e poi vai via.

Il tutto appartiene alla psicologia del diretto interessato, alla paura o meno di infortunarsi, eventuali e varie. Possibile che Dzeko pensasse alla sua nuova destinazione e che temesse uno stiramento o qualcosa del genere: a quel punto sarebbe stato meglio non muoversi dalla Capitale, la non convocazione avrebbe evitato un vespaio di polemiche.
Ma da qui a mettere Dzeko al centro di un processo crediamo ce ne passi.

Ha sbagliato due gol semplici semplici contro la Juve? Certo ma significa poco o nulla, lo spessore dell’attaccante non si discute. E poi ha dovuto spegnere il motore, accostare, parcheggiare, immaginare un suo futuro altrove, riprende il controllo dell’autovettura che aveva lasciato e farla girare al massimo in pochi giorni. Non è semplice, chiunque si sarebbe incartato o sarebbe andato a sbattere contro un muretto. Dzeko non è un robot, resta un grande attaccante e i giorni che trascorreranno gli serviranno per ripristinare un minimo di serenità. E per garantire un contributo da top, come ha sempre fatto nella sua onoratissima carriera.