Chi pensava che avrebbe consumato un intero anno sabbatico, non aveva fatto i conti con il grande desiderio di Antonio Conte: quello di salire sul primo autobus dorato possibile. Dorato sì, altrimenti uno come lui preferisce restare a guardare. Il Tottenham garantisce la luna e il cielo, Londra in fondo è casa sua, ricordando le straordinarie imprese con il Chelsea, una Premier e una FA Cup, prima che il contenzioso con Marina Granovskaia finisse addirittura in tribunale.

Londra, certo, dove si può fare il calcio che vuoi, dove puoi programmare e chiedere al tuo nuovo padrone, l’esigentissimo Levy, di aprire i cordoni della borsa e di programmare un mercato da mille e una notte. Per questi discorsi ci sarà tempo, è ancora presto, ma una cosa è sicura: Conte non si sarebbe mosso da casa sua, Torino con qualche rimpatriata nell’amatissimo Salento, se non avesse avuto queste garanzie. Don Antonio ha imparato a frequentare i ristoranti da 500 euro, se l’è meritato con il lavoro certosino e con i risultati, altro che i 100 euro simbolici che aveva chiesto per pasteggiare con champagne e caviale, metafora chiarissima per esprimere la sua insoddisfazione ai tempi della Juve.

Se ne andò per incomprensioni legate al mercato, all’improvviso in una notte di luglio quando era già partita la nuova stagione. Sulla carta risoluzione, in realtà la volontà di tagliare la corda dopo aver memorizzato che non gli avrebbero preso i giocatori forti che gli sarebbero serviti per non fare figuracce in Europa, visto che in Italia stava spadroneggiando. A quei tempi il suo uomo di riferimento era Fabio Paratici, teniamolo bene a mente perché è stato lui ad andare in pressing nelle ultime 72 ore per convincerlo ad accettare dopo che la scorsa estate la trattativa si era tramutata in un naufragio.

Lo stesso Paratici che, prima di lasciare la Juve e di cercare nuove sfide in casa Spurs, aveva fatto di tutto e di più per riportarlo in bianconero. Ma lui non aveva certo il potere di firma: qualsiasi sua decisione doveva essere avallata dalla proprietà. E malgrado la sponda di Pavel Nedved, che era sintonizzato sullo stessa lunghezza d’onda, la barriera di Andrea Agnelli era un muro invalicabile. Storia di vecchi rancori, poi materializzatisi durante un velenosissimo incrocio tra Juve e Inter, con tanto di insulti e di un dito medio alzato, tali da rendere impossibile – surreale – un nuovo matrimonio.

Paratici, appunto. Partendo da una vecchia frase di Conte (“quanto mi manca Londra”), pronunciata in un paio di occasioni dopo essere rientrato in Italia. Un passo indietro: Paratici memorizza già in tarda primavera che Antonio non avrebbe rispettato il contratto – ancora per una stagione – sottoscritto a suo tempo con l’Inter. Conte aveva intuito che gli avrebbero ceduto un paio di pezzi pregiati (Hakimi e Lukaku) e non voleva rovinare lo scudetto appena conquistato con una stagione dal suo punto di vista anonima. Risoluzione, buonuscita, libertà.

Paratici entra in azione immediatamente, dopo aver salutato proprio la Juve e firmato il contratto con gli Spurs. Il suo sogno è Conte ma diventa presto un incubo perché non ci sono i margini: le richieste sono importanti, diremmo proibitive, sia per gli emolumenti che per le necessità di svoltare sul mercato con operazioni importantissime. Poi c’è la vicenda Kane che tiene banco: resta o parte?

Poche certezze e non quella limpidezza che l’allenatore invoca prima di buttarsi definitivamente in una nuova avventura. Paratici capisce, magari ci resta un po’ male, prova con Gattuso, prende Espirito Santo chissà con quale convinzione e spera che sia un allungamento rinviato.

La svolta si consuma per colpa o merito (dipende dai punti di vista) di Solskjaer, sì proprio il manager del Manchester United. L’entourage di Conte viene contattato poco meno di 10 giorni fa, a poche ora dall’umiliante 0-5 a Old Trafford contro il Liverpool per quello che sembra un punto di non ritorno. Solskjaer barcolla e sembra quasi rassegnato all’addio ma trova in Alex Ferguson un meraviglioso scudo. Meraviglioso non perché inaspettato, la leggenda dei Red Devils lo aveva sempre sostenuto, ma perché arriva in un momento devastante.

Ferguson impone la sua legge alla proprietà United, così Solskjaer ottiene tre partite per salvare la pelle, anche dall’alto del suo mega ingaggio da circa 10 milioni di sterline a stagione fino al 2024. Le tre partite, in ordine cronologico, sono Tottenham (il destino), Atalanta in Champions e Manchester City, l’attesissimo derby. Solskjaer ha l’abilità di ridisegnare la squadra, di motivare Cavani, di aggrapparsi a Ronaldo e sbanca a Londra, un 3-0 senza discussioni. In quel momento Conte intuisce che Manchester si allontana, in quel momento Paratici entra in pressing – anche in nome di una vecchia amicizia – e fa breccia.

Conte ha le garanzie, gli prenotano un aereo privato, discute i dettagli ma già prima di partire ottiene un contratto fino a giugno 2023, con le dovute garanzie sul mercato. Un anno e mezzo per una quindicina di milioni, con eventuali opzioni, proprio per capire come funzionerà, senza legarsi con triennali o quadriennali inutili. Londra gli mancava, Londra lo riavrà, lui riavrà Londra e fondamentalmente mancherà anche a noi, con i suoi eccessi ma anche con la sua maestria nel dare un perché a qualsiasi squadra alleni. Il Tottenham, in fondo, può ritenersi fortunato.