José Mourinho stava, un po’ per volta, perdendo la pazienza. E forse la speranza. Non la fiducia, perché lui ha accettato la Roma a scatola chiusa senza chiedere budget strepitosi di mercato e immaginando di doversi imbattere in qualche difficoltà. Però un attaccante lo voleva, anzi lo pretendeva, come l’aria per respirare. A maggior ragione dopo aver perso Edin Dzeko che aveva una promessa del club (“se arrivasse una proposta a te gradita, ti libereremmo in poche ore”) e quando si è materializzata l’Inter sono bastate un paio di telefonate per il via libera.

Mourinho avrebbe anche tenuto Edin, ma ormai il rapporto (con la Roma, non certo con lui) si era un po’ spaccato, pur nel rispetto dell’immancabile professionalità. Ma Dzeko, per ben due volte negli ultimi dieci mesi, era stato vicinissimo prima alla Juve e poi all’Inter, situazione sfumate a 50 metri dal traguardo (nel caso dei bianconeri forse meno). Quindi non si poteva dirgli “aspetta qualche giorno perché dobbiamo trovare un sostituto”. Quando l’Inter gli ha fatto un fischio, il bosniaco era già alla Pinetina mentalmente e molto presto fisicamente, pronto a esordire e a segnare in amichevole. Molto bene (per l’Inter) ma a Mourinho interessava poco o nulla. Premeva di più la seguente domanda: quanto tempo trascorrerà prima di aver un sostituto all’altezza?

Una manciata di giorni, appena il tempo di organizzare un blitz a Londra sponda Chelsea e di trovare una rapida soluzione. Ecco Tammy Abraham che sognava di andare all’Arsenal, la squadra del cuore, ma che alla fine non ha resistito al corteggiamento della Roma. Una spesa enorme, 45 milioni con i bonus, la più onerosa nella storia del club. E non dobbiamo dimenticare che alle sue spalle, in questa speciale classifica, ci sono Patrick Schick e Gabriel Omar Batistuta: per il primo la Roma si svenò, spese una fortuna con il non trascurabile particolare che Schick venne utilizzato da attaccante esterno – non certo il suo ruolo naturale – proprio per non metterlo in competizione con l’intoccabile Dzeko.

Non fu certo un successo, al punto che la Roma molto presto fu costretta a cederlo e soltanto nelle ultime stagioni in Bundesliga il ragazzo della Repubblica Ceca è tornato quello che aveva fatto innamorare i top club italiani e non solo ai tempi della Samp. Batistuta in giallorosso ha scritto la storia, non ci sono paragoni che tengano. E ora è normale che Abraham abbia simili pressioni: 45 milioni sono tantissimi, ma sarebbe ingeneroso e probabilmente scorretto fare paragoni con gente che ha vissuto momenti che non possono essere confrontati, per tanti motivi, con quelli attuali.

Il ragazzo merita una citazione speciale perché nelle considerazioni del Chelsea era considerato un predestinato. Altrimenti Marina Granovskaia non avrebbe chiesto i famosi 45 milioni, bonus compresi, e non si sarebbe impossessata della famosa possibilità di riacquistare il cartellino tra un paio di stagioni se la campagna romana di Abraham dovesse essere un successo con pochi precedenti in Serie A. Possiamo aggiungere alcuni dettagli, uno in particolare: quando andò via Sarri e spuntò Franck Lampard a Stamford Bridge, il Chelsea decise di puntarci. Tammy era reduce da un buon prestito all’Aston Villa, la filosofia dei “giovani al potere” aveva scelto lui come attore protagonista e non come semplice comparsa.

Non andò male ma neanche benissimo, i suoi gol li fece e dimostrò soprattutto di avere la stoffa dell’attaccante moderno: letale dentro l’area, bravo nei movimenti e nel non dare riferimenti ai difensori. Lampard venne confermato, ma già l’estate successiva Tammy capì che non ci sarebbe stata l’aria giusta per ripetersi. Come minimo per confermare la maglia da titolare visto che la mega campagna acquisti da 250 milioni portò, tra gli altri, un certo Werner a Londra (e non solo), al punto da rendere complicata qualsiasi visibilità. E le cose non migliorarono di sicuro quando Lampard perse il posto a favore di Tuchel:  l’ex PSG si presentò con idee chiare e precise che consentirono di conquistare la Champions e che non potevano prevedere il ragazzo del 1997 al centro del progetto.

Già a metà maggio si era capito che Abraham avrebbe dovuto scegliere una via nuova per ripartire. E lui stava già cominciando a pregustare la possibilità di restare a Londra ma per cambiar casa, trovava quella dell’Arsenal molto accogliente e ospitale. Ma siccome nessuna regala i soldi o pensa di scaraventarli dalla finestra, bisognava solo aspettare che arrivasse un’opportunità per Lacazette, ancora con un anno di contratto e con una situazione non semplice da sbrogliare. Senza quella cessione l’Arsenal non si sarebbe potuto muovere. La Roma ha avuto la fortuna e la bravura di inserirsi in questa situazione di vacatio, ha salutato Dzeko e Mourinho si è messo in pressing tempestando di telefonate il ragazzo che deve ancora compiere 24 anni.

Tammy ha intuito che aspettare l’Arsenal sarebbe stato potenzialmente un grande rischio: se poi i Gunners non avessero trovato una sistemazione per Lacazette, il problema sarebbe stato il suo. E la Roma non avrebbe certo aspettato in eterno, sarebbe andata alla ricerca di nuovi gol. Al Chelsea poi è appena arrivato Lukaku, quindi spazi ancora più ristretti e la possibilità concreta di trascorrere l’intera stagione tra panchina e tribuna. Così è scattato un moto di orgoglio, delle serie: quale migliore occasione di un’esperienza al servizio di Special One, non certo l’ultimo della compagnia? E ora fuori i gol per Mou: certamente una speranza, di sicuro un dovere, probabilmente un obbligo per la cifra che la Roma ha messo sul tavolo. Con tanti saluti a Dzeko e quella voglia di ripartire con Tammy senza il minimo pentimento: il calciomercato è questo, ci vogliono i soldi ma anche il coraggio, altrimenti si fa dura per chiunque.